Coming out mirati

marzo 31, 2007

Il mio amico di tastiera Ismaele – non ci siamo mai incontrati – mi ha chiesto nei commenti qualche giorno fa, quando abbiamo parlato del coming out sull’altare del giovane religioso (chissà quali pressioni oscene starà subendo…): “E com’è stato il tuo, se c’è stato?”

Potrei rispondere in modo lungo e piscioloso, sorbettando a tutti la mia vita. Interessa? Non lo so. Forse lo farò in un altro momento. Ma non fuggirò la domanda di Ismaele. Ho fatto l’unico coming out che per me contasse: quello con i miei figli.

Sono un vigliacco? Non lo so: sul mio lavoro molti sanno per mia iniziativa e chi vuole capire capisce – certo la mia immagine di padre di figli svia i più cecati.E non mi tiro mai indietro se c’è una polemica gaya da fare.

Dovevo dirlo anche a mia madre? Non ho un dialogo con lei, il pezzo di verità aumenterebbe solo il perenne conflitto fra noi.

E l’utilità di dirlo ai figli? oh semplice. Vedo il coming out non come uno strappo ma come una ricucitura: avevo lasciato ai miei figli giovanissimi l’immagine di un padre che si separa, un padre “tradizionale”. Ho cercato di cucire tutti i pezzi di me in un’ immagine reale. Chiedevano di sapere chi era loro padre, nell’età in cui, cresciuti, si vuol conoscere per intero i propri genitori. Gli dovevo la “verità” o la consueta menzongna che le famiglie condividono? Ho dato la mia verità, e li ho portati a cena col mio compagno di allora, un amore lungo, 11 anni, per il quale avevo deciso di lasciare ogni prudenza e ogni copertura (la madre figli sapeva tutto dall’inizio, ma certo questa consapevolezza non ha reso le cose più facili).

Fu una cena impacciata, poi simpatica, poi calda. Con un abbraccio di uno dei figli a “lui”.

Non è stato facile, farlo, non è stato facile dopo, neanche per loro. Uno di loro ha scelto un silenzio che tutto copre. Ma è la sua modalità verso ogni cosa della vita. Un altro ha scelto una discreta accettazione. Il 10 marzo è passato da piazza Farnese: “Ciao Pa’, lo sapevo che c’eri, sono passato a salutarti. Una di queste sere ci si vede a cena?”.

Quello che però è stato più difficile è stata l’incomprensione degli amici, anche degli amici gay (ma c’è stato anche il consenso della madre dei figli, e questo aiuta). Dell’amico gay anziano come te, che vive con la sua mamma, cui non ha detto mai nulla, neanche quando scopava nella camera accanto. “Queste cose è meglio non toccarle. Hai sbagliato”. E chissà se è un caso che poco dopo ha rotto ogni rapporto con me, dopo 30 anni di amicizia.
Poi ci chiediamo perché i nostri diritti non fanno un passo. Credo che al fondo abbiamo paura di diventare persone, alla luce del sole.

6 Risposte to “Coming out mirati”

  1. un'amica di quei tempi Says:

    questo post fa … male. nel senso che fa venire le lacrime agli occhi.
    una si immagina tuo figlio che abbraccia ‘lui’, i pensieri che gli possono essere passati in testa prima di alzarsi per abbracciare, e si chiede perchè cavolo non possa essere tutto più … semplice, visto che ci arriva anche un “bambino”.

    per quel che vale, a me sembra che tu abbia fatto varie cose giuste, ma mi interessa il parere di altri.
    E anche, non so se/quanto – per diventare persone alla luce del sole – sia “obbligatorio” il disvelamento lavorativo.
    in fondo mica gli etero disvelano tutti i fatti loro a tutti i colleghi …
    A me, personalmente, sapere che il/la mio/a collega faccia sesso (o ami) una persona di sesso opposto o simile non mi fa nessuna differenza. E a volte invece mi infastidisce che le madri lavoratrici non particolarmente anche-amiche ti impongano dettagliatissimi racconti del loro da fare di mamme…

  2. Max Says:

    Penso che il dirlo ai tuoi figli sia una cosa bellissima e dovuta, al di la dei risultati dovevi ed era giusto “ricucire”. Il disvelamento lavorativo non è una cosa che tutti decidono di fare; se non te la sei sentita avrai i tuoi buoni motivi. Per ciò che mi riguarda io non nascondo nulla a nessuno, ma è una mia scelta personale, nel bene e nel male.

  3. finO Says:

    Ognuno di noi, e ciascuno solo per sé, sa di che pasta è fatto il proprio silenzio; nessuno può giudicare veramente quello degli altri. Ti mando un caro abbraccio.


  4. “Credo che al fondo abbiamo paura di diventare persone, alla luce del sole.”

    La responsabilità della cittadinanza, dell’età adulta fa paura – e mette un vero terrore a molti italiani. E non vedo perché dovrebbe essere diverso per un gay o una lesbica.

    A leggere le tue parole tu non sembri vecchio, come dici nel titolo del blog – sembri adulto. Al più, avviato verso l’essere anziano. Ma vecchio, no: non hai paura di crescere. (O se ce l’hai non te ne fai vincere.)

  5. Max Says:

    Secondo me alla fine si vorrebbe essere totalmente “pubblico”…io lo sono da quando avevo diciannove anni…è bello, ma può essere anche pericoloso, nonostante non cambierei MAI il mio modo di essere. Questo non vuol dire che tutti debbano necessariamente seguire un percorso simile al mio, tutt’altro!

  6. ismaele Says:

    Bellissimo il post. Io credo che, se sia la cosa giusta o meno, lo sai soltanto te.
    La base della vita è il rispetto, se manca quello manca tutto, posso non essere d’accordo con te, posso esprimere una mia opinione ma se alla fine manca il confronto, non c’è crescita.
    Io lo dico, ho paura di essere una persona alla luce del sole, non chissa per quale motivo, ma soltanto per il semplice fatto che, al mondo, ci sono persone che ancora, purtroppo, non sanno cosa significhi il vero significato della parola “RISPETTO”.

    p.s. e non mi riferisco soltanto alle persone cosi dette etero.


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